il presepe a Napoli: un pò di storia e tradizione

salve

ci stiamoavvicinando al periodo natalizio e così si è pensato di parlare un pò del presepe a Napoli.
Come si sa il Natale a Napoli è molto sentito, di fatti dai primi di novembre fino a tutto il periodo natalizio, andando per le strade di San Gregorio Armeno, San Biagio Dei Librai, si può assaporare l’aria natalizia vedendo i negozi, bancarelle, piene di presepi e pastori, ma anche luci e alberelli, insomma tutto quello che il Natale necessita.

Ma la cosa più affascinante è la tradizione che a Napoli vi è riguardante i presepi; in questa città fare il presepe o presepio è quasi un rito sacro, un fatto molto importante.

Proprio per questa ragione è bello sapere l’origine della tradizione del presepe:

Il presepe ha origine dalle antiche rappresentazioni sacre del periodo delle feste natalizie, dalla quali san Francesco avrebbe tratto l’idea del presepe, realizzandolo per la prima volta in un bosco presso Greccio, nel Natale del 1223.

Alla fine del ‘200 apparvero rappresentazioni artistiche della Natività. La più antica è l’Oratorium praesepis di Arnolfo di Cambio, conservato a Roma nella basilica di Santa Maria Maggiore.

Il documento che parla per primo del presepe lo colloca nella Chiesa di S. Maria del presepe nel 1025.

Ad Amalfi già nel 1324 esisteva una “cappella del presepe di casa d’Alagni”. Nel 1340 la regina Sancia d’Aragona (moglie di Roberto d’Angiò) regalò alle Clarisse un presepe per la loro nuova chiesa e la statua della Madonna è esposta nel museo di San Martino. Altri esempi risalgono al 1478, con un presepe di Pietro e Giovanni Alemanno di cui ci sono giunte a noi dodici statue per la chiesa di San Giovanni a Carbonara esposto al Museo di San Martino di Napoli e il presepe di marmo del 1475 di Antonio Rossellino, visibile a Sant’Anna dei Lombardi.

La tradizione si estende nei secoli successivi con presepi monumentali in marmo o in legno, realizzati e conservati in chiese dell’Italia centro meridionale dove resterà forte la passione fino a trasformarla in arte pregiata.

La struttura del presepe classico presenta la grotta in primo piano affiancata da pastori in adorazione ed Angeli, quindi il sacro monte con altri pastori accompagnati da greggi ed Angeli in volo che annunciano la buona novella, ed in lontananza il corteo dei Re Magi.

Durante tutto il secolo convissero due tipi di pastori: quello in legno e quello in terracotta, che diventarono di dimensioni più piccole, rispetto a quelli quattrocenteschi, verso la fine del secolo.

passaggio più importante avviene nel Cinquecento quando compaiono per la prima volta dei cambiamenti nei personaggi quali i cani, le pecore, le capre, oltre all’asino e al bue da sempre presenti nella grotta ed anche nel paesaggio. Per tutto il secolo, il presepe mantiene una stessa struttura: in basso la grotta con angeli e pastori, più in su le montagne con le greggi, e lontano il corteo dei magi.

Nel corso del Cinquecento compaiono i primi mutamenti. In un documento notarile del 1532 vi è la descrizione di un presepe, con pastori in terracotta dipinta, realizzato per il nobile Matteo Mastrogiudice da Sorrento. Troviamo i primi accenni di scenografia con qualche paesaggio e, oltre al bue ed all’asinello, sempre affiancati alla Sacra Famiglia, ci sono anche altri animali quale il cane, la capra e le pecore, due pastori, tre angeli.

Queste sensazioni erano comunicate anche dagli altri presepi coevi costruiti per le chiese di S. Eligio e dell’Annunziata, da quelli di poco successivi ed in particolare da quello più famoso di Giovanni Merliano da Nola (Giovanni da Nola) per il presepe detto del Sannazaro nella chiesa di S. Maria del Parto.

Esso era formato da figure lignee di grandezza quasi naturale, prive d’accessori che potessero distrarre dall’importanza dell’evento sacro che rappresentavano, ed erano immagini solenni che invitavano alla religiosità e alla preghiera.

E’ nella prima metà del 1600 che incomincia a nascere la figura dell’artista che si dedica anche alla creazione di pastori. Michele Perrone fu uno di questi, noto per le sue sculture lignee si dedicò con notevole successo a questa attività, altrettanto bravi furono i suoi fratelli Aniello e Donato. Accanto al legno, nella seconda metà del secolo incominciarono a comparire altre innovazioni, pastori in cartapesta più piccoli rispetto ai precedenti, ed ancora manichini di legno con arti snodabili e vestiti di stoffa. Furono proprio questi manichini di legno snodabili che segnarono la svolta verso il presepe del 700, anche se spesso continuarono a convivere le due tipologie. Il committente è, con queste nuove figure, protagonista e parte attiva, potendo far assumere ai pastori le posizioni che vuole e potendo (in questo modo) arricchire maggiormente la scena come meglio crede. I manichini di legno sono snodabili, alcuni dispongono di un incavo per alloggiarvi la “pettiglia” della testa, altre volte invece la testa è tutt’uno con il corpo, altri ancora, nel caso di figure femminili, sono calvi per poter portare parrucche intercambiabili. La Natività posta nella grata-stalla, l’Annuncio della buona Novella ai pastori dormienti, la Taverna con gli avventori che cenano, sono i tre momenti che domineranno il presepe del 700.

Sotto l’influsso del re, nobili e ricchi borghesi gareggiarono nell’allestire impianti scenografici giganteschi e spettacolari, in cui il gruppo della Sacra Famiglia fu sopraffatto da un tripudio di scene profane che riproducevano ambienti, situazioni e costumi della Napoli popolare dell’epoca. Furono investiti capitali per assicurarsi i “pastori” più belli e la collaborazione degli artisti più rinomati; il sacro evento divenne pretesto per far sfoggio di cultura, ricchezza e potenza.

Le statue, dalle teste modellate in terracotta dipinta e con occhi di vetro, gli arti in legno, il corpo in stoppa con un’anima di fil di ferro che ne garantiva la flessibilità, erano vestite di tessuti di pregio e, quelle che impersonavano personaggi di rilievo, agghindate con gioielli in materiali preziosi, perle e pietre preziose.

A realizzare le armi, gli strumenti musicali, i vasi preziosi e gli altri minuti ornamenti dei personaggi del corteo dei re magi vennero chiamati argentieri e gioiellieri famosi.

Le frutta e le cibarie esposte nei banchetti o consumate nelle taverne erano realizzate in cera colorata.

Le statuette realizzate dai migliori artigiani arrivarono a costare delle vere fortune: si calcola addirittura l’equivalente di un mese di stipendio di un funzionario di corte. Famiglie nobili giunsero a rovinarsi pur di realizzare presepi che potessero competere in magnificenza con quello reale, e meritare -nel periodo natalizio- la visita del sovrano. Paradossalmente, quando i creditori arrivavano al pignoramento dei beni di queste famiglie troppo prodighe nelle loro spese presepiali, proprio quei piccoli capolavori costituivano una delle principali voci nei verbali degli ufficiali giudiziari.

Nel ‘700 il presepio napoletano uscì dalle chiese dove era stato oggetto di devozione religiosa, per entrare nelle case dell’aristocrazia e divenire oggetto di un culto frivolo e mondano.

Il presepe era fatto in questo modo: le figure erano realizzate con manichini in filo metallico ricoperto di stoppa, le teste e gli arti erano in legno dipinto, che poi sarà gradualmente sostituito dalla terracotta policroma.

Nella prima metà dell’800 la moda -e conseguentemente la passione- dei presepi tramontò. Lo stesso presepe reale fu trasferito nella reggia di Caserta dove ne è ancora conservato quello che è sopravvissuto all’incuria ed ai periodici furti.

“Il presepio è il Vangelo tradotto in dialetto partenopeo” affermò Michele Cuciniello, il collezionista napoletano che fece dono al Museo di San Martino della sua collezione di “pastori”, animali e accessori del XVII e XIX secolo, e per l’occasione ideò e fece costruire nel museo uno splendido presepio, inaugurato, con grande successo, il 28 dicembre 1879. Abbandonato in seguito al degrado e a discutibili restauri, il più famoso presepio napoletano è stato di recente restaurato con rigore storico-filologico sotto la direzione di Teodoro Fittipaldi.

Le scene del presepe sono variate negli anni e hanno mantenuto intatte le tre principali e la sacralità della sua funzione di raffigurazione della Nascita.

Erano figurati in ogni modo i tre episodi narrativi evangelici, la Nascita nella grotta-stalla (con l’influsso preromantico diventa una capanna appoggiata ai ruderi di un antico tempio, allegoria non tanto velata al crollo del paganesimo) con la Madonna seduta su di un sasso e San Giuseppe in piedi in una grotta-stalla, successivamente, anche grazie alle grandi scoperte archeologiche dei Borbone, le scenografia talune volte diventerà un rudere di tempio pagano.

Con l’Annuncio si lasciarono poche interpretazioni agli architetti presepari che nelle loro scene avevano solitamente degli angeli che in un alone di luce portano la Novella ai pastori addormentati. La Taverna, invece, fece creare molte variazioni sia gli artisti sia ai committenti. Questo episodio si dovrebbe riferire alla mancata ospitalità alla Sacra Famiglia, l’esposizione delle vivande fatta in maniera abbondante nei costumi dell’epoca dove gli avventori erano allettati ad entrare dinnanzi a simili viste, ed inoltre l’esposizione adempiva delle prescrizioni dell’epoca che obbligava gli osti ad esporre le carni fresche. Qui si vanno ad affiancare una serie di episodi spesso d’ispirazione popolare e popolana che fanno da corollario: il corteo dei Re Magi, con i suoi cavalli, i cammelli, gli elefanti, i leoni in gabbia, i nani che portano al guinzaglio scimmie e cani più grandi di loro, portatori che recano esotiche bellezze racchiuse in portantine dorate e, soprattutto, la banda degli orientali, con gli strumenti luccicanti e fantasiosi, ma anche la Fontana, con le sue scene di costume, di venditori e di umanità sofferente. Spesso in questi episodi era predominante la tendenza verso il “fantastico” ispirati dalla corte degli ambasciatori d’Oriente che si recavano a rendere omaggio al Re di Napoli.

Lo stupore negli spettatori numerosi nelle case patrizie ad ammirare la finezza dei particolari e lo sfarzo nelle scene era anche orgoglio dei loro committenti e aumentavano il loro prestigio personale.

Per il presepe napoletano si raggiunge il più alto splendore. La meraviglia delle scene costruite con dovizia e ricchezza di particolari, la perfezione dei volti dei pastori e delle figure umane ed animali in generali, creavano nei visitatori stupore e questo era ricercato dai proprietari alla volte anche a scapito della sacralità mai persa nelle intenzioni degli architetti e dei loro artigiani.

Il presepe di questo secolo è un nuova forma di spettacolo dove troviamo spaccati di vita quotidiana che riflettono la cultura dell’epoca, gli storpi e i diseredati rappresentati non senza sarcasmo, l’opulenza dei nobili orientali e delle loro corti a simboleggiare i privilegi dei nobili, l’osteria con l’avventore e l’oste a rappresentare la bonomia del popolo. Il tutto con una ricchezza inaudita attraverso sete e stoffe, gioielli, ori ed argenti che dovevano dimostrare il proprio status socio-economico. Luoghi di queste rappresentazioni non furono solo le chiese ma anche le stanze dei privati, chiaramente più facoltosi, che attiravano un pubblico numeroso e di ogni estrazione sociale. Tra le collezioni private più importanti non si può non ricordare quella del principe Emanuele Pinto, che ricevette perfino la visita della Viceregina austriaca. Di questo presepe il Napoli-Signorelli ci descrive più di altra cosa la magnificità del corteo dei Re Magi. Il principe di Ischitella, fu un grande collezionista di presepi. Ne aveva di ogni materiale e disposti in ogni stanza del suo palazzo, che andavano a sommarsi a quello grande. Nel tempo, però, il grande presepe del principe Pinto non restò l’unico da ammirare nella città. A questo se ne aggiunsero degli altri come quello reale. Tutto ciò, però, non può che indurci alla riflessione che il presepe stava perdendo la sua misticità per trasformarsi sempre di più in una rappresentazione profana diretta ad affermare, anch’esso il prestigio della famiglia.

Tra le collezioni private più importanti si ricordano la famosa del principe Emanuele Pinto, che ricevette perfino la visita della Viceregina austriaca. Di questo presepe il Napoli-Signorelli ci descrive più di altra cosa la magnificità del corteo dei Re Magi.

Anche il principe di Ischitella, fu un grande collezionista di presepi. Ne aveva di ogni materiale e disposti in ogni stanza del suo palazzo fino a quello grande. Nel tempo si aggiungono al grande presepe del principe Pinto reale.

Tutto questo induce alla riflessione che il presepe stava perdendo la sacralità e la misticità per trasformarsi sempre di più in una rappresentazione profana diretta ad affermare, anch’esso il prestigio della famiglia. Il tutto, però, alla fine del secolo incominciò a finire, infatti le collezioni private incominciarono a smembrarsi, come testimonia il Napoli-Signorelli. Il principe Emanuele Pinto fu costretto ad impegnare i gioielli dei Re Magi e gli ori delle popolane per far fronte ad una momentanea carenza di liquidità. Quando poi finirono gli ultimi presepari discepoli dei grandi maestri il presepe napoletano iniziò il suo inesorabile declino; i grandi presepi andarono scomparendo e si predilessero quelli più piccoli, anche a dimostrare che i pastori napoletani, data la loro pregiata fattura, potevano magnificamente esistere senza scene di grande suntuosità e alto costo, la gioia e il dolore dei ricchi nobili dell’epoca e comunque concorsero a renderli desiderati, invidiati e famosi in tutto il mondo.

Gli artigiani producono ancora qualche pezzo di pregio su ordine di committenti che hanno mantenuto la passione per il presepe del settecento.

fonte http://www.partecipiamo.it/Turismo/Napoli/presepe_napoletano/Storia_presepe_napoletano.htm

CI SIAMO TRASFERITI QUI:

http://napolielacampania.blogspot.it/